Retribuzioni convenzionali lavoratori all’estero: la risposta all’interpello n. 50/2023

L’Agenzia delle Entrate si è espressa sull’ambito di applicazione delle retribuzioni convenzionali per i lavoratori all’estero. Alessandro Mocarelli, Partner, Sante Battistini, Manager e Francesca Oggioni, Senior, spiegano nel dettaglio la risposta all'interpello 50/2023.

La rivisitazione delle retribuzioni convenzionali 

Di recente l’Agenzia delle Entrate si è espressa sull’applicabilità delle retribuzioni convenzionali per i lavoratori dipendenti operanti all’estero nel caso in cui il soggiorno per un periodo superiore a 183 giorni avvenga a cavallo di due anni, cogliendo di sorpresa gli operatori del settore.

Alessandro Mocarelli, Partner, Sante Battistini, Manager e Francesca Oggioni, Senior, hanno preparato un documento che spiega nel dettaglio la risposta all'interpello n. 50/2023.

La gestione dei dipendenti in mobilità internazionale

Secondo quanto riportato infatti nella risposta n. 50 del 2023, la tassazione del reddito estero su base convenzionale può essere effettuata solo quando in entrambi gli anni considerati il lavoratore si sia qualificato fiscalmente residente in Italia.

Questa presa di posizione ha un significativo impatto sulla gestione dei dipendenti in mobilità internazionale che mantengono in Italia la residenza fiscale ai sensi dell’articolo 2 del TUIR, presentandosi in controtendenza con lo spirito originario della norma nonché con prassi della stessa Amministrazione finanziaria cristallizzatasi nel corso di oltre due decenni.  

Come noto, l’art. 51 comma 8-bis del TUIR prevede, infatti, un regime derogatorio rispetto al criterio di determinazione analitica del reddito di lavoro dipendente previsto nei commi da 1 a 8 dell’art. 51 TUIR, disponendo che “in deroga alle disposizioni dei commi da 1 a 8, il reddito di lavoro dipendente, prestato all’estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto da dipendenti che nell’arco di dodici mesi soggiornano nello Stato estero per un periodo superiore a 183 giorni, è determinato sulla base delle retribuzioni convenzionali definite annualmente con il decreto del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale”.

Il beneficio della retribuzione convenzionale 

Pertanto, il lavoratore fiscalmente residente in Italia distaccato all’estero o ivi assunto per svolgere in via continuativa un’attività di lavoro dipendente ivi soggiornando per più di 183 giorni, in deroga al suindicato criterio analitico, potrà beneficiare di un regime fiscale più favorevole (retribuzione convenzionale) senza tener conto né della retribuzione effettivamente percepita né dei fringe benefits aggiuntivi erogati per effetto della circostanza dell’espatrio.

Un aspetto molto discusso in tema di tassazione su base convenzionale riguarda il caso di lavoratori dipendenti in mobilità internazionale che si trovano a trascorrere periodi di presenza all’estero a cavallo di due anni solari. In tal caso, il calcolo dei 183 giorni di soggiorno non è determinato limitatamente all’anno solare ma è considerato nell’arco di 12 mesi e, pertanto, anche “a cavallo” di due anni solari (esempio: un dipendente distaccato dall’Italia all’estero a Ottobre 2023 per due anni, rimane fiscalmente residente in Italia nel 2023 e tassabile quindi anche sul reddito estero sugli ultimi tre mesi dell’anno su base convenzionale, in quanto la valorizzazione dei 183 giorni viene fatta a prescindere dalla residenza fiscale che avrà il dipendente nel 2024).

La risposta all’interpello n. 50/2023

La risposta all’interpello n. 50/2023 ha come oggetto un contribuente italiano che, a fronte di un nuovo rapporto di lavoro con una società irlandese, si trasferiva all’estero con la famiglia a luglio 2021, iscrivendosi all’AIRE nel mese di agosto. L’istante ha anche sottolineato che, in assenza delle misure emergenziali per fronteggiare la pandemia Covid-19 adottate dallo Stato irlandese che hanno comportato una limitazione della libertà di movimento dell'Istante, il suo trasferimento all’estero sarebbe avvenuto nel mese di giugno 2021. Alla luce di tale situazione, il contribuente chiedeva chiarimenti, oltre che sulla possibilità di disapplicare le disposizioni di cui all’art. 2 del TUIR, anche in merito alla applicabilità dell’articolo 51, comma 8-bis del TUIR circa la determinazione del reddito di lavoro dipendente svolto in Irlanda sulla base delle retribuzioni convenzionali.

Con riferimento al caso di specie oggetto del presente interpello e, con particolare riguardo a quest’ultimo chiarimento, l’Agenzia delle Entrate si sofferma sul fatto che il contribuente risultava fiscalmente residente in Italia per l’anno 2021 e che, inoltre, non aveva superato nel corso di tale annualità i 183 giorni di soggiorno all’estero: “…il limite dei 183 giorni di soggiorno all’estero potrebbe peraltro essere stato superato nel 2022; tuttavia, per l’applicazione delle disposizioni contenute nel citato articolo 51, comma 8-bis, del TUIR, risulterebbe, altresì, necessario che l’Istante fosse considerato residente nel nostro Paese anche in tale annualità, mentre l’Istante afferma, nella richiesta di interpello in esame, di essere residente in altro Stato estero nel 2022”.

In sostanza, l’Agenzia delle entrate fissa un principio alquanto inedito stabilendo per la prima volta un criterio, relativamente all’applicabilità delle retribuzioni convenzionali laddove il dipendente soggiorni all’estero per un periodo maggiore di 183 giorni a cavallo di due periodi di imposta, in virtù del quale la determinazione del reddito di lavoro dipendente su base convenzionale su due distinte annualità può essere effettuata solo se per entrambi gli anni (l’anno di partenza, in cui il dipendente rimane residente ai fini fiscali in Italia e l’anno successivo, nel quale potrebbe perdere la residenza fiscale italiana) si considera fiscalmente residente in Italia.

Il nuovo orientamento e la ratio originaria

Va da sé che tale orientamento non è condivisibile nonché poco in linea con la ratio originaria della norma agevolativa in questione. La strada da percorrere resta sempre la stessa che si è percorsa fino ad oggi: in altre parole, il tenore della norma ci insegna che, per il rispetto della condizione che prevede un soggiorno all’estero superiore a 183 giorni nell’arco temporale di 12 mesi, occorre continuare a porre attenzione solo alla durata della permanenza contrattuale all’estero del dipendente, in un periodo a cavallo di due anni solari, senza necessariamente valorizzarla in rapporto alla sussistenza della sua residenza fiscale italiana per ciascuno anno.  

In conclusione, più che un chiarimento sembrerebbe una rivisitazione interpretativa del dettato normativo che getta alcune ombre sulla operatività degli addetti ai lavori, che comporterebbe un aggravio di tassazione in capo al dipendente nel caso di impossibilità di applicazione del regime di cui al citato art. 51, comma 8-bis del TUIR.

Il nostro team di Global Mobility è a disposizione per offrire maggiori chiarimenti e supporto ai lavoratori dipendenti che operano all’estero ivi inclusa l’assistenza per la predisposizione di dichiarazioni dei redditi.