Accordo INPS: telelavoro e obblighi contributivi

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Accordo Quadro in caso di telelavoro transfrontaliero

In data 28 dicembre 2023 è stato sottoscritto dal Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali l’Accordo Quadro europeo sull’applicazione dell’art. 16, par. 1, del Reg. n. 883/2004, avente ad oggetto il telelavoro dei lavoratori transfrontalieri, entrato in vigore il 1° gennaio 2024.

Quest’ultimo ha previsto, per il dipendente che svolge l’attività in modalità agile in un Paese firmatario dell’Unione Europea, la possibilità di versare i contributi previdenziali nel Paese in cui il datore di lavoro ha la sede legale o il domicilio, anziché nel Paese di residenza, a condizione che tale attività sia abitualmente svolta in quest’ultimo Paese in misura inferiore al 50% del tempo di lavoro complessivo.

L’Accordo segna un importante superamento di quanto previsto dall’articolo 13 del Reg. UE 883/2004 (c.d. “Multistate”), introducendo la possibilità di derogare alla regola generale secondo la quale chi esercita abitualmente un’attività subordinata in due o più Stati membri è soggetto alla legislazione previdenziale dello Stato di residenza se esercita un’attività pari o superiore al 25% del tempo lavorativo in detto Stato.

L’Accordo, come evidenziato nel Messaggio n. 1072 del 13 marzo 2024 diramato dall’INPS, fa seguito ad un orientamento già in seno alla Commissione amministrativa per il coordinamento dei sistemi di sicurezza che, con Decisione H14 del 21 giugno 2023 aveva evidenziato che il telelavoro in uno Stato membro non dovrebbe modificare la legislazione applicabile se l’attività svolta in uno Stato membro diverso da quello in cui la persona era assicurata, superasse la soglia del 25%.

A partire quindi dal 1° luglio 2023, taluni Paesi dell’Unione Europea hanno aderito all’Accordo, mentre in Italia quest’ultimo è entrato in vigore solo in data 1° gennaio 2024.

L'Accordo, inoltre, risulta applicabile solo nel caso in cui entrambi gli Stati coinvolti abbiano aderito allo stesso. Tra gli stati firmatari si annoverano, oltre all’Italia: Austria, Belgio, Croazia, Repubblica Ceca, Finlandia, Francia, Germania, Liechtenstein, Lussemburgo, Malta, Norvegia, Polonia, Portogallo, Spagna, Svezia, Svizzera, Olanda, Slovenia e Slovacchia.

Definizione del telelavoro transfrontaliero, art. 1, lett. c. dell’Accordo

Ai sensi dell’Art. 1, lett. c. dell’Accordo, per “telelavoro transfrontaliero” si intende un’attività che viene svolta in qualsiasi luogo e può essere eseguita presso i locali o la sede del datore di lavoro e che abbia le caratteristiche di:

      i.         essere svolta in uno o più Stati membri diversi da quello in cui sono situati i locali o la sede del datore di lavoro,

     ii.         si basi su tecnologie informatiche che permettono di rimanere connessi con l’ambiente di lavoro del datore di lavoro, al fine di svolgere i compiti assegnati dal datore di lavoro.

Ambito di applicazione dell’Accordo, art. 2

L’Accordo si applica ai lavoratori dipendenti che svolgono telelavoro transfrontaliero abituale, a condizione che la loro residenza sia in uno Stato membro firmatario e che la sede legale o il domicilio dell’impresa o del datore di lavoro siano in un altro Stato firmatario.

Attenzione: chi ricade nell’ambito di applicazione dell’Accordo sono i lavoratori ai quali, in seguito al lavoro transfrontaliero abituale e per effetto dei regolamenti comunitari, si applicherebbe la legislazione dello Stato di residenza.

Per meglio chiarire tale aspetto, l’INPS ha riportato il seguente esempio: telelavoro per il 40% del tempo lavorativo nello Stato di residenza (Stato A) e per il 60% nello Stato dove il datore di lavoro ha la sede legale (Stato B). Se entrambi gli Stati sono firmatari si può richiedere l’applicazione della legislazione dello Stato B.

Casi di esclusione, art. 2, par. 3 dell’Accordo

L'Accordo prevede altresì dei casi di esclusione dalla disciplina derogatoria in esame, ed in particolare, nel caso di:

      i.         esercizio abituale di un’attività diversa dal telelavoro transfrontaliero nello Stato di residenza, e/o

     ii.         esercizio abituale di un’attività in un altro Stato diverso dallo Stato di residenza del lavoratore e dallo Stato in cui ha la sede legale o il domicilio l’impresa, e/o

   iii.         lavoro autonomo.

Per i casi esclusi, e/o non contemplati dall’Accordo è comunque prevista la possibilità di concludere un accordo ex art. 16, par. 1, Reg. UE n. 883/2004 che coinvolge i due o più Stati membri interessati.

Richiesta di applicazione delle previsioni dell’Accordo e iter procedurale

La richiesta di applicazione dell’Accordo deve essere formulata con il consenso delle parti interessate, (quindi il datore di lavoro ed il lavoratore), in assenza della quale si applicheranno le disposizioni ordinarie previste dall’Art. 13 Reg. UE 883/2004, che prevede l’applicazione della legislazione previdenziale dello Stato di residenza del lavoratore, se l’attività lavorativa è svolta in tale Stato per almeno il 25% del tempo lavorativo.

Inoltre, ai sensi dell’Art. 4 dell’Accordo, la legislazione applicabile secondo la richiesta di deroga (da presentarsi quindi all’ente previdenziale dello Stato dove ha sede legale o domicilio il datore di lavoro e per periodi successivi all’entrata in vigore dell’Accordo per entrambi gli Stati firmatari) potrà essere applicata per un massimo di 3 anni alla volta, con possibilità di proroga previa presentazione di nuova richiesta.

L'articolo 4, paragrafo 3 dell’Accordo prevede altresì un regime di retroattività delle richieste di deroga, qualora ricorra una delle situazioni espressamente previste dall’Accordo stesso. In ogni caso, conditio sine qua non per presentare la domanda di deroga con effetto retroattivo è che nel periodo oggetto di richiesta i contributi previdenziali siano stati già versati o il lavoratore sia stato coperto dal regime di sicurezza sociale dello Stato firmatario in cui il datore di lavoro ha la sede legale o il domicilio.

In particolare, le circostanze che possono dare luogo alla presentazione della richiesta retroattiva sono le seguenti:

      i.         il periodo precedente la data di presentazione della richiesta non superi i tre mesi, o

     ii.         la richiesta sia presentata entro il 30 giugno 2024 e il periodo precedente la data di presentazione della richiesta non superi i 12 mesi.

Per l’Italia, le richieste di deroga con effetto retroattivo presentate entro il 30 giugno 2024, possono riguardare solo periodi successivi al 1° gennaio 2024 (data di entrata in vigore in Italia dell’Accordo).

La richiesta di deroga in esame deve essere inoltrata all’istituzione competente dello Stato membro dove ha la sede legale o il domicilio il datore di lavoro. Le domande possono riguardare soltanto periodi che si collochino temporalmente in un momento successivo alla data di entrata in vigore dell’Accordo per entrambi gli Stati firmatari interessati.

La domanda di deroga, presentata in applicazione dell’Accordo, deve essere inoltrata all’Istituto previdenziale attraverso l’applicativo “Rilascio certificazione A1 per attività lavorative in Stati UE, SEE e Svizzera”, a cura dei datori di lavoro o degli intermediari abilitati. La domanda deve essere corredata dalla copia dell’accordo di telelavoro intercorrente tra datore e il lavoratore, dal quale si evincano tutti gli elementi necessari per verificare il rispetto delle condizioni stabilite dall’Accordo.

Brevi considerazioni in merito al regime impatriati per remote workers trasferiti in Italia

Alla luce di quanto previsto dall’Accordo emergono talune brevi considerazioni circa il neoriformato regime impatriati (art. 5 del D. Lgs. n. 209/2023).

In applicazione dell’Accordo, il mantenimento della contribuzione nel Paese UE dove ha la sede o il domicilio il datore di lavoro non risulterebbe compatibile con la fruizione del regime impatriati per il combinato disposto dei confliggenti requisiti stabiliti dalle rispettive norme di riferimento.

Infatti, poiché alla luce dell’Accordo è richiesto che il lavoratore svolga la propria attività in Italia (Stato di residenza) in misura inferiore al 50% del tempo complessivo di lavoro, ne consegue che il regime agevolato in parola risulterebbe inapplicabile nei confronti dei dipendenti che intendano svolgere la prestazione in modalità agile dall’Italia avvalendosi della deroga in esame.

Invero, tra le condizioni espressamente previste dalla norma per l’applicabilità del nuovo regime impatriati in vigore dal 1° gennaio 2024, risulta confermata quella che prevede che l’attività lavorativa sia prestata in Italia per la maggior parte del periodo di imposta. Come chiarito dalla risalente circolare n. 17/E/2017, tale requisito deve essere verificato in relazione a ciascun periodo di imposta e risulta soddisfatto se l’attività lavorativa è prestata nel territorio italiano per un periodo superiore a 183 giorni nell’arco dell’anno. 

L’Agenzia delle Entrate ha precisato che, qualora il lavoratore non rispetti il predetto requisito temporale, pur essendo fiscalmente residente in Italia, non potrà fruire del beneficio fiscale sul reddito di lavoro dipendente prodotto in Italia per tale periodo di imposta, che sarà quindi ordinariamente soggetto a tassazione sull’intera base imponibile.